Runtime Radio presenta Il vino lo porto io, podcast di cultura enologica con il sommelier Marco Barbetti.

Signore, signori, benvenuti o bentornati a Il vino lo porto io, il podcast di cultura enologica del network Runtime Radio.

Davanti a me è il sommelier Marco Barbetti.

Ciao a tutti.

Ciao Marco e senza cognome abbiamo lo chef Gabriele.

Gabriele che è chef e non è nemmisterioso neanche volante.

Mi è stato chiesto di non dirlo più per cui va bene così.

I’m not the chef è la maglietta che oggi indossa il nostro Gabriele.

Tra l’altro a fine puntata dopo la sigla di chiusura vi faremo sentire quello che un’intelligenza artificiale ha creato per descrivere sia lo chef che il sommelier.

Vi ho chiesto dammi una descrizione del chef misterioso volante di Marco Barbetti.

Ma sentirete quanto quanto è scema la cosa.

Tipo Alexa raccontami Marco Barbetti.

Qualcosa del genere.

Però comunque molto ironicamente è stato molto molto divertente.

Vabbè andiamo direttamente a bomba.

Marco qual è il vino protagonista di questa puntata?

Insieme a Barolo e Brunello il vino di oggi possiamo sicuramente considerarlo come l’alfiere dell’enologia italiana all’estero.

Un vino nato per un errore di unificazione a partire da uno più dolce e da questa sua caratteristica poco dolce direi amara ne ha tratto il proprio nome.

Oggi il protagonista credo l’abbiate capito sarà l’Amarone ma non uno qualsiasi.

In puntata infatti abbiamo l’Amarone Deburis 2010 il progetto di alta gamma della famiglia Tommasi.

Abbiamo modo quindi di apprezzare la visione più moderna di una delle aziende più classiche.

E proprio per capire questa visione abbiamo intervistato Giancarlo Tommasi l’enologo dell’azienda.

E siamo qui con Giancarlo Tommasi l’enologo di Tommasi.

Grazie Giancarlo di aver partecipato a questa piccola intervista e adesso ti lascio nelle sapienti mani di Marco che ti farà qualche domanda.

Grazie a voi per l’invito.

Ciao e anch’io ti ringrazio tantissimo per aver voluto partecipare insieme a noi a questo nostro podcast.

La storia di Tommasi nasce all’inizio del 1900 grazie allo spirito pioneristico di Giacomo Tommasi definito un contadino visionario.

Ci racconti un pochettino qual è la vostra storia e come siete diventati uno, secondo me, un riferimento in Valpolicella.

Allora Marco se tutto parte dal 1902 con mio bisnonno questa è una storia di grande passione, di grande volontà e di tanto sudore che parte sì dai nostri avi ma arriva anche a quello che stiamo facendo noi della quarta generazione.

Soprattutto si focalizza il nostro lavoro con un progetto chiamato progetto Tommasi Women Estate nel 2007 quando noi abbiamo deciso che Tommasi era importante che cominciasse a avere uno sguardo anche verso un orizzonte diverso che non fosse solo Valpolicella ma andare in tutta Italia ed è quello che siamo arrivati a fare oggi dove possiamo contare di nove aziende in tutta Italia seguite dalla famiglia.

Questo però girare per l’Italia ci ha portato a un certo punto a focalizzare ancora di più su quelle che sono le nostre origini ed è qua che è nata la volontà di creare, vedendo anche quello che succedeva in tutta Italia, vedendo le altre aziende, le altre aziende più bravi, più blasonate, quello che facevano, è nata la volontà di arrivare a creare qualcosa di importante e questa volontà di creare qualcosa di importante è proprio la nascita di questo progetto, il progetto De Buris.

Il progetto De Buris che sarà proprio il vino protagonista della nostra puntata.

De Buris mi ha colpito in maniera particolare perché secondo me si discosta approfondamente del concetto di Amarone a cui tutti un pochettino ormai col tempo si sono abituati.

Ci racconti un po’ di questo progetto, approfondisci un pochettino?

Come ti ho detto poco fa, il progetto De Buris è l’insieme di esperienze, di studi fatti con la famiglia che ho fatto io per arrivare a creare un grande Amarone.

Un grande Amarone che deve avere delle caratteristiche veramente diverse intanto, è un progetto ambizioso per la famiglia, creare qualcosa di unico e soprattutto creare un prodotto di grande eleganza e di grande potenza.

Ma a me piace, come ci eravamo visti in quell’evento insieme a Marco, anche spiegarlo come un gigante buono.

C’è un grande vino ma che però si lascia, tra virgolette, avvicinare, si lascia prendere anche dal consumatore meno esperto, che è la cosa fondamentale di questi vini.

Non deve essere un vino trasparente ma non banale e questo ha portato a creare qualcosa di unico nella mia esperienza con i lavori che abbiamo fatto e stiamo facendo per questo grande vino.

Gian Carlo invece, ci vuoi raccontare come viene prodotto il De Buris?

Raccontateci magari un po’ di territorio, cosa fate in cantina, nel suo affinamento?

Allora Marco, tu sai che De Buris è un progetto nato con proprio una sua identità non solo nel terroire, nella viticoltura, ma anche per quanto riguarda un progetto di struttura della villa che ospita la cantina, che è una delle ville più antiche, ci pensiamo che è una delle prime ville venete che c’era in Val Pulicella e qui si trova su asilo la nostra cantina e questa villa è in progetto anche di creare qualcosa di importante, sempre legato all’ambiente De Buris.

La Maroni De Buris nasce da un progetto importante, soprattutto un progetto di terroire, perché si colloca in una delle zone più vocate in assoluto, il territorio più importante e più vocato per la Marone, che è la Grola, che è un terreno che si trova all’incirca di altitudine, siamo sui 400 metri, un territorio veramente caratterizzato da terreni caicari, infatti più vicino ci sono delle zone dove si vengono estratti il marmo, per farvi capire la povertà di questo terreno, ma è la ricchezza di questa vigna, perché questa povertà porta la vigna a creare un naturale stress, quindi un’autolimitazione di produzione, perché la Resa abbiamo 65 quintali per etero e questo è fatto in naturale, questa posizione in altitudine di 400 metri, siamo sulla vallata verso Val d’Age, quindi questa naturale ventilazione che permette di avere anche delle buone escursioni termiche e soprattutto la posizione che siamo a sud ovest fa in modo di darmi tutte le caratteristiche, tutte le icone di maggiore eccellenza per ottenere una grande uva.

La qualità noi la facciamo in campo, in campagna, non in cantina, quello è fondamentale, però poi in cantina tocca a me arrivare a rispettare quello che è il risultato di questa maturazione e di questa selezione fatta in vigna, infatti come tutti i grandi amaroni, anche qui l’uva viene selezionata grapolo per grappolo, viene portata in azienda distesa su queste cassette di massimo 6 chili, monostrato, e dopo viene ulteriormente selezionata e messa a riposo su questi letti di bambù che si chiamano arele, dove rimane per 110 giorni, per legge deve perdere il 40% di acqua, un appassimento veramente tutto naturale, non c’è l’utilizzo di macchina o quant’altro, non si spinge, quindi deve essere un appassimento naturale e anche abbastanza lento per poter arrivare ad operare, a dover arrivare a pigiare l’uva a gennaio, perché?

Perché per l’amarone nella sua fase terminale di appassimento è necessaria la quantità di freddo e questo freddo lo possiamo ottenere solamente nei periodi di fine dicembre-gennaio, purtroppo vedendo come il clima sta cambiando, ed è per questo che allora dobbiamo arrivare in quel periodo con questo calo in perdita d’acqua, non eccessiva naturalmente, perché altrimenti arriviamo ad avere dei vini troppo alcolici, dopodiché avviene la fermentazione, la fermentazione con lieviti indigeni all’interno dei tini troncoconici in legno, una fermentazione che dura circa 30-35 giorni, anche 40 giorni, dipende ogni annata dalla sua storia, perché qui non c’è un manuale di base per tutti i vini, perché ogni vino in base alla sua annata ha la sua storia, quindi qui si parla di questa data, finita la fermentazione, viene separato, messo in acciaio per circa 10 giorni per avere una decantazione statica e dopodiché viene messo all’interno dei botti di rovere, botti di rovere che sono lì in villa, da 15-30 ettolitri, dove ci rimane circa per 5 anni, dopo 5 anni di affinamento viene imbottigliato e lasciato per un anno, come minimo un anno in cantina per fare il suo grande affinamento, la sua ristrutturazione in bottiglia e poi potrebbe essere pronto per la commercializzazione.

Questa è un po’ quello che ti ho spiegato, tutta la storia dell’itinerante del De Buris.

Era molto interessante anche quando ci eravamo visti il progetto legato, o meglio il concetto legato al De Buris, il lusso del tempo.

Assolutamente sì, perché ancora oggi diventa ancora più importante e soprattutto più rappresentativo proprio il tempo, perché oggi se pensiamo bene a cosa daremmo nei momenti più belli perché quei tempi più belli siano più lunghi?

E quindi ecco questo per me è il momento più bello del De Buris, quindi il tempo che ho dedicato e sto dedicando e dedicheremo per fare questo grande vino, proprio perché come ti ho detto adesso tutte le tempistiche che ci vogliono sia nella parte agronomica di selezione e di crescita della pianta, ma anche tutto il lavoro della materia prima, dell’uva, del mosto e del vino e poi l’affinamento in bottiglia.

Sono tempi molto lunghi al quale non siamo ultimamente così abituati, perché ultimamente i tempi sono diventati sempre più corti, abbiamo sempre più fretta e quindi questo è proprio, abbiamo voluto chiamarlo proprio un lusso, perché è proprio il lusso di prendersi il tempo per fare un grande vino e a lui dare il tempo per esprimersi nel migliore dei modi.

No, questo vino che ripeto a me mi ha sempre colpito perché si discossa totalmente dallo stereotipo se possiamo così dire dell’amarone, è particolarmente secco, poi sarà curioso vederlo in abbinamento.

Comunque abbiamo pensato con il nostro chef di abbinare, di abbinarlo ad una pancia di maiale con purè di patate affumicate, alla senape e semi di finocchio per dare più complessità aromatica e soprattutto persistenza.

Che cosa ne pensi?

Allora io penso che sia veramente un bel abbinamento, soprattutto per il fatto, come giustamente dicevi tu prima, una delle caratteristiche un po’ anomale di questo amarone, a differenza di tanti altri amaroni, è proprio il suo residuo zuccherino, in quanto si parla di un vino che ha all’incirca sui 3 grammi di residuo zuccherino, quindi molto secco, dove la sua dolcezza è data dalla presenza troppo naturale di questo contenuto glicerico e soprattutto dalla sua combinazione di questi tannini eleganti.

La presenza di questo, chiamiamolo, il grasso del maialino naturalmente, come sai bene, va a sposarsi in maniera ideale con i tannini, questi tannini anche presenti, importanti dell’amarone e quindi crea una combinata fantastica, anche perché ti sembra veramente di bere il velluto con questo maialino morbido, quindi è proprio il modo migliore per poter bere un grande vino senza spesso magari arrivare a spaventarsi perché si chiama The Burberry, perché noi facciamo il vino perché deve essere bevuto, non perché deve avere il suo unicone.

Questo è il concetto che vogliamo proprio far passare, esattamente questo.

Naturalmente questo vino non è che possiamo abbinarlo con una pasta asciutta, perché anche lui ha delle sue esigenze, però comunque The Burberry è un vino che non trova neanche proprio estremamente necessità di questi vini gourmet o di questi piatti gourmet o di queste cose così particolari, perché tante volte basta anche una bella costata, una bella fiorentina o comunque si parlava poco anzi anche con l’Anna Lidl che si faceva veramente un abbinamento anche di un salmone in crosta, cioè anche di un pesce grasso che abbiamo noi provato, che abbiamo testato, anche qualche pesce così grasso, proprio questo grasso va ad abbinarsi con questo amarone e lo rende attuale un amarone piacevole e di grande bevibilità, come deve essere nonostante sia un gigante, perché si chiama The Burberry e ha tutte le caratteristiche per esserlo.

Proveremo anche quel pesce, io ti ringrazio e ci vediamo in cantina ovviamente da te.

Marco, passiamo molto del nostro tempo qui in cantina, purtroppo non posso dirti che sono sempre qui perché essendo io responsabile di tutte le addende in Italia, della parte vitico-aneologica, devo anche girare, però tu sai che i nostri incontri ce li hai e ti aspettiamo con grande piacere, non solo te, magari anche Alex.

Sicuramente.

Io ti ringrazio e ti auguro una buona serata.

E veramente grazie a voi per il tempo che ci avete dedicato per questo progetto.

Grazie.

Grazie a voi, grazie mille.

Ancora grazie Giancarlo per questa visione e a questo punto, come abbiamo detto nell’intervista, abbiniamo The Burries 2010 alla pancia di maiale con, leggo bene, pure di patate affumicata alla senape e semi di finocchio.

Marco, raccontaci il perché di questo abbinamento.

Beh, se ci scostiamo dal classico brasato stufato, l’abbinamento con un amarone non è mai facile.

L’amarone infatti è un vino dai pesi massimi, con tutte le caratteristiche molto sviluppate, tra le quali bisogna anche considerare l’estrema morbidezza che talvolta sfocia anche in un leggero residuo zuccherino.

In questo caso, ed è la caratteristica che più lo contraddistingue da tutti gli altri e che mi piace, il vino è straordinariamente secco.

Rimangono però, come dicevo poco fa, le altre peculiarità.

Ho chiesto a Gabriele un cibo di struttura, con un aroma deciso, persistente e con una grande succulenza per armonizzarsi con le caratteristiche dell’amarone.

Motivo per cui ho scelto di utilizzare la pancia di maiale che è molto utilizzata, ad esempio, nel barbecue, ma che si può realizzare comodamente a casa con il proprio forno o con tecniche un po’ più complesse, ma che non sono necessarie come la cottura a bassa temperatura, e abbinarla con un purè di patate affumicate, perché questa nota, diciamo così, dolciastra che ha l’amarone, secondo me, si può abbinare bene con questa sensazione affumicata che è un po’ amaricante.

La fumicatura che ho fatto io, in realtà, non è una vera e propria fumicatura come si usa a farne il barbecue, ma l’ho aromatizzato con un affumicatore a freddo, quello che il purè che ho realizzato, e gli ho dato una nota un po’ piccantina con dei semi di senape.

E l’ho accompagnato inoltre con una maionese di nocciole, per dare un tocco un po’ più aromatico, e con del tarassaco…

No, aspetta, aspetta, aspetta.

Facciamo finta che non abbiamo lavorato tutti in una cucina, in un ristorante stellato.

Esci proprio, sciorrini così, ah, una maionese di nocciole, così…

Come se tutti sapessero fare.

Come se ce l’avessimo tutti nell’armadietto del bagno.

Come si fa una dannata da maionese di nocciole?

Beh, si parte da una base maionese, ovvero tuorlo d’uovo, aceto di vino bianco, io ad esempio ho utilizzato dell’aceto di mele, sale e pepe, olio di semi e della pasta di nocciole.

Non è altro che, appunto, una nocciola, o delle nocciole, che vengono tritate con un frullatore molto veloce, con un po’ anche di olio di nocciole, in modo da creare una pasta.

Sembra il burro da rachidi, sostanzialmente.

Però è fatto con le nocciole e non ha nessun residuo dolce, non è la crema alle nocciole che si spalma sul pane per colazione.

È proprio una pasta fatta e che sa di nocciola.

Ho aggiunto questa alla maionese emulsionandola bene con una frusta elettrica e ho creato questa maionese che ha un retrogusto un po’ acido dato dall’aceto e questo sentore di nocciola.

Comunque ti avevo interrotto, parlavi del tarassaco.

Sì, dicevo che come contorno, oltre al purè, ho utilizzato del tarassaco, che è una cicoria, sostanzialmente un’erba amara, sempre per giocare su questo contrasto fra dolce e amaro che in questo caso ho semplicemente sbollentato in acqua bollente, ovviamente, e raffreddato velocemente in acqua ghiaccio, di modo da fissare la clorofilla e mantenere vivo il colore.

Dopodiché ho ripassato questo tarassaco in padella con uno spicchio d’aglio in camicia, un filo d’olio e un po’ di pepe.

Verrà poi ad accompagnare quello che è il nostro piatto principale, ovvero la pancia di maiale, che ho cotto in forno dopo aver marinato sotto sale con erbe aromatiche per 24 ore.

A che temperatura la fai in forno?

Beh, la cottura della pancia di maiale è una cottura che ha bisogno inizialmente di una marinatura e dopo che questo viene marinato bisogna bagnare con dell’acqua bollente la cotenna, che questo permetterà poi in cottura e in forno successivamente di dare maggiore croccantezza alla stessa.

La parte croccante della cotenna è importante perché dà appunto la dimensione croccante di fronte invece a una carne che è molto succulenta perché è molto grassa come carne appunto la pancetta di maiale.

Viene poi cotto inizialmente a 200°C per 15-20 minuti e poi fa quasi due ore di cottura ma a 170°C e poi alla fine fa al massimo della potenza che arriva il vostro forno fa altri 10-15 minuti proprio per rendere questa cotenna molto croccante.

Se invece lo volete realizzare a bassa temperatura, se avete gli strumenti, la parte iniziale è la stessa anziché cuocerlo in forno andrà 24 ore a 72°C dopodiché una parte finale di un 15-20 minuti in forno alla massima potenza sempre per dare la parte croccante alla cotenna.

Non ci resta a questo punto che assaggiare il vino.

Marco, raccontacelo.

Nel bicchiere il vino ha un bellissimo colore rosso granato che testimonia il suo lungo affinamento che ricordo essere di 5 anni in bottiglia di rovere e poi il resto in bottiglia quindi noi stiamo bevendo adesso un vino che ha 13 anni praticamente, 2010-2023 13 anni.

Al naso un bouquet molto intenso e particolarmente stratificato con delle note chiare di ciliegia immarmellata ricorda le marasche sottospirito, del miele di castagno, delle note terrose e poi tante tante spezie come il pepe, il rabarbaro, il ginepro, la cannella, delle note aromatiche di alloro e poi pian piano che il vino si apre cambia, cambia e esprime nuove sensazioni.

Il cacao, il caffè, la cipria, il legno, un bouquet molto ricco che nel bicchiere cambierà ancora.

Lo assaggio, in bocca si dimostra particolarmente secco quindi abbiamo una contrapposizione chiara tra quello che ci possiamo aspettare volendo dopo averlo usato quindi delle note anche dolci in bocca visto tutta questa frutta molto concentrata, molto evoluta, invecchiata invece è completamente secco, è una sua nota caratteristica che a me piace tantissimo e che lo contraddistingue rispetto ad altri amaroni.

Marco, parlando proprio del colore mi è venuto da chiederti ma che vitigni ci sono qui dentro?

Il disciplinare dell’amarone prevede alcune tipologie di vitini, in questo caso abbiamo prevalenza corvina e poi corvinone, rondinella e oseleta che sono tutte uve autoctone della zona del Bardolino, della Valle Pollicella e che ritroviamo in quasi tutti i vini della zona.

Stavo raccontando invece della parte gustativa di questo vino che dimostra avere tanta freschezza, tanta acidità che va un pochettino a bilanciare questa morbidezza particolarmente presente.

È un vino glicerico, un vino carnoso, un vino grasso e questa acidità riesce a renderlo armonico in bocca, facendolo ruotare sembra quasi vellutato, questo sarà importante poi da tenere a mente per l’abbinamento.

L’alcolicità è particolarmente ben integrata con il corpo, quindi non abbiamo degli spike di alcol o delle punte alcoliche.

Il finale poi, come ci si poteva aspettare, è particolarmente intenso e persistente.

Hai parlato di alcolicità, quanti gradi sono?

L’amarone, questo amarone titola 15,5% di alcol in volume, ma nonostante questa presenza alcolica importante, come dicevo prima, non si percepisce.

È ben integrata con il resto del corpo e è veramente piacevole.

Nel frattempo lo chef ha portato i piatti in tavola con un impiattamento sempre più raffinato, sempre più col ditino mignolo alzato.

Da ristorante stellato insomma.

Non esageriamo.

Allora, date le stelle al nostro chef mettendo le stelline su iTunes, via!

Il piatto oltre ad essere particolarmente bello è anche molto profumato.

Prima quando cercavo di fare un pochettino la scheda, la valutazione del vino, mentre lo chef cucinava, la stanza si è riempita degli aromi della cucina, quindi è un piatto davvero intenso a livello olfattivo.

In bocca è croccante e consistente.

Tenete in mente la pubblicità delle patatine quando esaltano il rumore di quando una patatina si spezza, quindi la croccantezza.

Ecco, è la stessa sensazione che avete morsicando la cotenna di questo maiale.

Un boccone che, proprio per via che si tratta di maiale, tende leggermente al dolce non solo dalla cotenna ma anche dalla parte grassa.

Un’aromaticità in bocca davvero importante, come già si poteva sentire al naso, data dalla cottura della cotenna leggermente abbrustolita e dalla purea ai granelli di senape.

Valutiamo adesso l’abbinamento.

È un abbinamento particolarmente riuscito.

Sicuramente dobbiamo fare anche questa volta i complimenti allo chef.

Assolutamente, è eccezionale!

Provando invece l’abbinamento, posso dirvi che è anche questa volta particolarmente ben riuscito.

La struttura del piatto, che vi ricordo essere importante, è uguale alla struttura del vino.

La parte tendente al dolce, e dunque la parte grassa del maiale, è ben bilanciata dal tannino.

Un tannino molto fitto, polimerizzato, maturo, polveroso.

Mentre l’intensità del piatto, che è davvero lunga, riesce ad eguagliare almeno quella del vino.

Dunque, il risultato è che c’è una continua alternanza di sapori del vino e del cibo, che è praticamente come se si inseguissero per arrivare poi a una bocca completamente pulita.

Inoltre, una cosa che davvero mi ha colpito, è il fatto che il vino riesce sicuramente a bilanciare il sapore del piatto, però siamo di fronte ad un abbinamento sinestetico.

Riesce ad esaltare il sapore del purè alla senape, andando a sottolineare proprio il sapore della senape.

Una cosa davvero particolare e piacevole.

Chef, tu cosa ne pensi invece dell’abbinamento?

L’abbinamento, secondo me, funziona, funziona anche bene.

Sono rimasto veramente sorpreso da questo vino.

Io sono un appassionato di ammarone e questo l’ho trovato molto particolare.

Mi ha spiazzato tantissimo.

Infatti ne parlavo con Marco dicendo che me lo aspettavo in questo modo, invece è tutta altra cosa.

Molto, molto divertente il vino, di cui ne berrei tranquillamente una bottiglia tutta da solo.

E’ molto divertente l’abbinamento perché la parte strutturale del vino, lo suo corpo, vanno a bilanciare benissimo quello che è il piatto e questa alcolicità, questa freschezza, ma anche il tannino, tendono ad asciugare bene un piatto, la pancia di maiale, che ha un livello di grasso e di untuosità importante.

Inoltre, questa morbidezza del vino, secondo me, si sposa veramente bene con la parte croccante del piatto, data dalla cotenna della pancia di maiale, ma anche da questi chips di polenta che ho realizzato come accompagnamento, come decoro.

Realizzate con una semplice polenta cotta in maniera tradizionale, poi assiccate e fritte o soffiate, come si suol dire, per queste parti croccanti che si usano nei piatti e che ho utilizzato anche in altre puntate, magari utilizzando il riso allo zafferano o altri prodotti che permettono questa elaborazione.

A validi dell’assaggio del vino, avresti pensato un piatto diverso?

Allora, proprio perché era un amarone, mi aspettavo una tendenza dolce maggiore, che infatti, come diceva Marco, mi ha abbastanza sorpreso questo vino, proprio perché è molto asciutto, molto elegante, secco.

Quindi, magari si, si poteva provare ad abbinarlo con altri tipi di carne, magari con della selvaggina.

Poteva anche questa essere un’idea.

Ok, prima di arrivare alla conclusione della puntata, Marco, raccontaci, è facile da trovare?

No.

Quasi nessuno ha il Deburis, quindi abbiamo bevuto una cosa davvero particolare e anche difficile da trovare.

Perfetto, e allora siamo arrivati alla conclusione di questa puntata, ringraziando ancora Tommasi per questa bottiglia.

Dove ci possono trovare i nostri teleascoltatori, oltre che nel canale Telegram, il cui link trovate nelle note di questo episodio?

Marco?

Sì, su Instagram, il mio canale Marco Barbet, scritto tutto attaccato.

E invece, Chef, te dove sei?

Io in questo momento ero in paradiso, sorseggiando l’ultimo source di Deburis che avevo nel bicchiere, e mi potete trovare sulla pagina Instagram del podcast Il Vino Lo Porto Io Underscore.

Dove naturalmente trovate tutte le foto dei nostri piatti.

E poi anche sul neocanale Telegram Il Vino Lo Porto Io.

Cosa che ho detto un minuto fa.

Però va bene, lo stesso.

Fa sempre bene ricordare le cose nuove ai nostri teleascoltatori.

Teleascoltatori, siete invitati, se le cose vi piacciono tantissimo, ad andare anche su RunTimeRadio.

it, anche io, per vedere che potete contribuire in qualche modo alla nostra causa.

Però la cosa più semplice che potete fare, se vi piace questa trasmissione, questo show, è andare su Spotify, metterci i cuoricini, andare su Apple Podcast, farci una recensione con le stelline.

Insomma, potete farlo in tanti modi.

Potete anche semplicemente condividere il post della puntata, in modo tale che altre persone possano ascoltare questa trasmissione, questo podcast.

Direi che per oggi abbiamo detto tutto e di conseguenza ad Alex Raccuglia, Gabriele, Marco e un ciao!

Marco Barbetti, conosciuto anche come The Best, è un sommelier dalle abilità straordinarie.

Non solo è in grado di abbinare i vini con qualsiasi piatto, ma è anche capace di indovinare l’annata di un vino solo assaggiandolo.

Con la sua capacità di percepire gli aromi con un’accuratezza sovrumana, Marco è in grado di identificare un vino anche se è stato mischiato con centinaia di altri.

Ma non chiedetegli di scegliere un vino economico, perché per lui solo i vini di pregiati e costosi sono degni di essere bevuti.

E se qualcuno osasse contraddirlo, sarebbe pronto a sfidarlo in un assaggio alla cieca.

Gabriele Palermo, conosciuto anche come Lo Chef Volante, è un cuoco dalle abilità straordinarie che non si limita ai fornelli.

Con la sua capacità di volare, Gabriele può essere ovunque ci sia bisogno di una cucina di classe.

Non importa se si tratta di un ristorante in cima a una montagna o di una festa su una nave, Gabriele è sempre pronto a stupire i suoi clienti con i suoi piatti deliziosi.

Attenzione però, non chiedetegli mai di cucinare un polo al forno.

Con le sue abilità di volo, Gabriele non ha mai imparato a usare il forno.

Ma io non ho capito perché una volta che lo metti in forno, prima di metterlo in forno ne metti l’acqua calda?

No, tu praticamente lo prendi, così com’è, acqua bollente sopra e tu vedi che la cotella si è arriccionata.

In questo si usa per idratarla e poi quando lo metti a 240°, quest’acqua schizza fuori, si porta fuori un po’ del…

diventa tipo crispy.

Anche quando fai tipo la polenta croccante che ce l’avevo fatta, hai fatto i cialdini che mi sono diventato odio.

Quello che tu fai è cuocerla, poi essiccarla e poi friggerla.

Questo cuoce e essiccare, una volta che poi lo friggi, ti dà questa parte che diventa croccante perché tira fuori l’aria e con l’aria tira fuori velocemente l’acqua e ti dà questa croccantezza.

Anche se qualsiasi cosa tu…

I cialdi di riso che ho fatto l’altra volta, va tutto cotto e essiccato.

Quindi anche le costine, volendo, se le fai al forno alla fine ci metti l’acqua bollente?

No, perché le costine non hanno la cotella.

Quindi…

Ok.

E solo su…

L’anana tra l’arancia?

L’anana tra l’arancia lo puoi fare, ma quello che in quel caso ti aiuta è il fatto che tu la lecchi con…

Lecchi, non lecchi, lecchi.

Sì, sì, sì.

Che la bagni con un liquido.

E grammarla.

Oppure, sai, ci sono quelli che fanno mix di salsa di soia, miele e gli vado a spennellare con questo, spennellarlo con il liquido e ti dà più croccantezza alla pelle.

E poi c’è tanto grano.

E dopo che l’hai leccata la metti in forno.

Sotto il grill o in padella dalla parte della pelle.

Sì, va bene.

Poi me ne tolgo un altro.

Poi…

I consigli, vero?